
I racconti italiani hanno una lunga tradizione nella letteratura nostrana, ma oggi rappresentano una nicchia del mercato editoriale. Pur essendo amati da una parte della critica e scritti da autori di grande valore, faticano a trovare spazio nei cataloghi delle case editrici e sugli scaffali delle librerie.
Questo articolo analizza le cause strutturali, culturali ed economiche di questo fenomeno, e prova a indicare quali strategie potrebbero invertire la tendenza. Il racconto è una forma che merita attenzione, investimento e rispetto.
Un mercato ostile alla brevità
Sebbene non ci siano statistiche precise sui dati di vendita dei racconti, ciò che possiamo fare è basarci sul sentimento comune. Osservatorio Cattedrale ci riporta in due suoi articoli (La filiera della fiducia e Chi ha paura del racconto?) alcune delle motivazioni tratte da librai e lettori.
In Italia il racconto vende meno del romanzo, viene cercato meno, seppur presente, magari nascosto o relegato lontano dagli occhi. Non di certo in prima battuta, a meno che non si tratti di qualche influencer o scrittore molto noto.
Quindi, se non sono i librai indipendenti a farlo, per gusto personale, allora lo faranno lettori forti molto esigenti, sempre sui propri gusti letterari. I motivi non sono solo commerciali, questi ci rifiutamo di spiegarli. Sono un preconcetto nato già lo scorso secolo e si trascinano come uno stigma.
La chiave di lettura va ricercata all’interno della nostra cultura e società. La percezione comune è che il racconto sia:
- una forma “minore”
- qualcosa di incompleto o non “soddisfacente”
- meno approfondito o caratterizzato
- meno immersivo di un romanzo (spoiler: non è il suo scopo)
Le librerie, i distributori e molti editori stessi con cui ho avuto modo di parlare in questi anni confermano questo orientamento. I racconti (italiani e non) vengono considerati un rischio: difficili da promuovere, difficili da collocare. La paura di investire in qualcosa che il pubblico non riconosce come “valido” o “meritevole” frena molte realtà editoriali.
Un problema culturale
Nella scuola italiana si legge soprattutto narrativa lunga. I racconti vengono studiati, spesso solo quelli del Novecento, ma raramente letti con piacere. L’idea che un racconto sia “troppo breve per emozionare” nasce molto presto.
Manca una vera educazione alla lettura della forma breve, alla sua densità, alla sua architettura. La capacità di leggere tra le righe, di apprezzare il non detto e il ritmo del racconto, non viene coltivata. E così, anche da adulti, molti lettori continuano a preferire i romanzi, ritenuti più “completi”.
Il lettore medio è portato a scegliere “un libro lungo”, che gli dia l’illusione di “valere di più”. Ma è una logica da supermercato, non da lettore consapevole.
Per molti scrittori, il racconto è visto come un esercizio, un punto di partenza verso una storia più lunga. Ma se la forma viene trattata solo come un passaggio per arrivare al romanzo, perde la sua dignità. Invece, scrivere racconti richiede abilità specifiche:
- sintesi senza superficialità
- coerenza interna
- gestione del ritmo e della tensione
- efficacia immediata
- padronanza del linguaggio
Negli Stati Uniti, il racconto è parte integrante della formazione autoriale e trova spazio in riviste prestigiose. In Italia, questa filiera è ancora debole. Le riviste esistono, ma sono poco sostenute o conosciute.
Il ruolo delle case editrici
Gli editori devono fare scelte che tengano conto della distribuzione. I racconti sono difficili da “vendere” ai promotori, che a loro volta devono convincere le librerie. Se un libraio non sa come presentare un libro, è difficile che lo ordini. Questa è una regola generale, base.
Anche le raccolte vengono viste come “difficili” per la promozione, per il passaparola, per la critica. Forse troppo impegnative (?).
Alcuni editori, però, resistono: Racconti Edizioni, Tetra Edizioni, Black Coffee (con raccolte americane), Moscabianca (con la collana Cuspidi), Marcos y Marcos, Sur e altre ancora. Infine ci siamo anche noi di 256 Edizioni che abbiamo deciso di investire esclusivamente sul racconto italiano. Insieme a queste realtà portiamo avanti una battaglia culturale, e sappiamo che il pubblico va costruito libro dopo libro, lettore dopo lettore.
Lettori ce ne sono?
I lettori di racconti esistono, ma sono spesso disgregati. Non leggono “racconti” in quanto tali, ma per autori, per temi, per scoperta. Abbiamo detto che sono lettori curiosi, informati, fedeli se coinvolti, disposti a sperimentare. Insomma, quelli che in gergo editoriale si chiamano lettori forti.
Comprano direttamente dagli editori, seguono le riviste letterarie, si muovono nei festival e negli eventi. Cercano autenticità, novità, qualità.
Serve una comunicazione diversa, più diretta, più verticale. È qui che la piccola editoria può vincere. Raccontare i racconti è parte del lavoro: parlarne con passione, valorizzare gli autori, costruire contesti di lettura.
256 Edizioni: una scelta controcorrente
Abbiamo diverse soluzioni e idee per invertire la rotta, ma da soli non possiamo farcela. Serve l’aiuto di tutti, oltre che di altri piccoli editori indipendenti, anche dei lettori più forti.
Abbiamo scelto di pubblicare esclusivamente racconti italiani. Lo facciamo con una linea editoriale precisa:
- testi contemporanei, provocatori e attuali
- curatela grafica attenta
- formati tascabili
- materiali sostenibili
- comunicazione diretta con i lettori
Non è una scelta di comodo, ma una voluta scelta volta a distinguerci. Valorizzare la forma breve vuol dire credere che il racconto abbia un ruolo nel raccontare il presente. È una sfida culturale, editoriale e politica.
In Italia si pubblicano pochi racconti perché mancano filiere culturali, spazi di promozione adeguati e una percezione pubblica positiva della forma breve. Ma questo non vuol dire che il racconto sia in crisi. Al contrario: oggi più che mai, in un tempo frammentato e veloce, il racconto è la forma adatta al nostro modo di vivere e percepire il mondo.
Il compito dell’editoria, specie quella indipendente, è di riportarlo al centro. Non come alternativa, ma come scelta. Il racconto non è un “genere di passaggio”, ma una forma piena, viva, necessaria.
Vuoi scoprire chi pubblica davvero racconti in Italia oggi? Leggi il nostro approfondimento: Come si pubblica un racconto oggi in Italia
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