
Brevità non è superficialità: il racconto è una forma narrativa completa e vitale
Tra i pregiudizi sul racconto, c’è n’è uno duro a morire: il racconto sarebbe narrativa minore, un trampolino verso il romanzo o, peggio, un contenuto “da rivista” di poco conto.
La verità è un’altra: il racconto è un genere a sé, con regole, potenza e dignità proprie.
In questo articolo spieghiamo perché, e come, il racconto meriti attenzione, rispetto e uno spazio centrale nella nostra lettura.
Le radici nobili del racconto
Il racconto è forse la più antica forma narrativa dell’umanità. I miti, le fiabe, le parabole: tutto nasce dalla necessità di trasmettere un senso in forma breve.
Secoli dopo, autori come Čechov, Poe, Pirandello, Buzzati, Calvino e Munro hanno dimostrato che non serve un romanzo per cambiare il lettore: bastano poche pagine, scritte con maestria.
Scrivere racconti non è “fare pratica”: è misurarsi con l’essenza della narrazione.
Il racconto non è quindi una riduzione, ma una forma. La sua forza sta nell’ellissi: ciò che non viene detto è altrettanto importante quanto ciò che viene scritto.
Ogni parola deve lavorare. Ogni personaggio, gesto o svolta deve esistere per una ragione. Non c’è spazio per il superfluo: tutto è struttura.
Un racconto ben scritto ha un inizio, uno sviluppo e una fine.
Romanzo e racconto sono come archi e frecce. Il romanzo costruisce un mondo in cui perdersi; il racconto ti trafigge con un solo colpo.
Non esiste superiorità. Solo funzioni diverse ma volte allo stesso fine letterario.
Il racconto è perfetto per chi cerca intensità. È una lente che ingrandisce l’essenziale, spesso con più onestà e precisione di molte narrazioni dilatate.
Il racconto oggi: attuale, necessario, sottovalutato
Viviamo in un’epoca che ha poco tempo, ma fame di storie. Non a caso scrolliamo sui nostri telefoni alla ricerca del video più “intrigante” da guardare. Il racconto risponde a questa esigenza nella lettura, senza rinunciare alla profondità.
La narrativa breve sta vivendo un nuovo ciclo vitale. Dapprima sono tornate le riviste letterarie che tanto hanno aiutato a mantenere vivo il racconto. Poi sono arrivati i podcast per poter fruire di narrazioni ovunque ci troviamo. E adesso le pubblicazioni di racconti stanno riemergendo sempre di più.
Negli ultimi anni, autori come Valeria Parrella, Amy Hempel, Lucia Berlin, David Leavitt, Marco Vichi e molti altri hanno saputo regalare al mondo dell’editoria piccoli e brevi racconti.
Tuttavia resta sottovalutata, anche dai grandi editori, questa forma letteraria. È vero che vengono pubblicati ma è anche vero che non viene veicolato il messaggio che si tratta di racconti. Come a dire che ci si trova di fronte a qualcosa di incompiuto. Mentre se il libro è un romanzo, questo viene scritto in bella vista, oltre che esposto.
È chiaro che qualcosa non torna nell’ottica della promozione di un genere così ai margini.
Perché 256 Edizioni punta tutto sui racconti italiani
Noi di 256 Edizioni abbiamo fatto una scelta netta: mettere il racconto al centro. Perché lo consideriamo il linguaggio perfetto per interpretare il nostro tempo: tagliente, rapido, riflessivo.
Selezioniamo racconti tematici che parlano del presente. Lavoriamo sul formato tascabile e sostenibile. Curiamo ogni uscita come un oggetto unico, dalla scelta dei testi alla stampa.
Crediamo che il racconto abbia ancora molto da dire. Basta dargli il microfono giusto.
Ma un lettore deve essere anche educato. In quest’ottica ci sarebbe molto da dire e tanto da fare, anche da parte delle istituzioni. Torneremo a parlarne in un altro articolo.
Non serve un romanzo per emozionare, spiazzare, far riflettere. Un buon racconto può farlo in dieci minuti come in un’ora.
Il racconto è arte di sintesi, resistenza al rumore, precisione chirurgica nella scrittura.
È tempo di smettere di chiamarlo “genere minore”. E iniziare a leggerlo per quello che è: una forma viva e necessaria della letteratura contemporanea.
Scopri le nostre collane dedicate al racconto italiano contemporaneo e lasciati sorprendere dai nostri autori.